a cura di Tiziana Moriconi |
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Cara lettrice, caro lettore
per la newsletter di questa settimana abbiamo intervistato una giovane donna che sta in qualche modo "usando" la sua malattia, il tumore al seno metastatico, per trasformare la propria vita. La sua storia - come quella di tante altre che si sono messe in gioco con le loro testimonianze - ci ricorda come il cancro possa essere vissuto in tanti modi diversi, che cambiano nel tempo e con i tempi. Buona lettura. |
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TTTT: tette, tacchi, trucco, tumore (e molto altro)
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Giovanissima, marchigiana d'origine e milanese d'adozione. Una diagnosi dura, ma anche uno spirito pieno di grinta, che non intende lasciarsi sopraffare. Nicoletta Saracco ha una visione chiara della sua malattia e di dove vuole indirizzare (per adesso) la sua vita. Da tre anni sta cercando nuovi modi di sostenere le pazienti come lei. Per esempio realizzando una serie di video-interviste (che da oggi vengono pubblicate periodicamente su Salute) ai medici dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano, per cercare le risposte alle domande più disparate che riguardano la vita con il cancro.
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Nicoletta, da dove parte la tua storia?
“Comincia tre anni fa, nel 2019, quando avevo 29 anni. Lavoravo nel mondo della moda, disegnavo scarpe. Avevo una vita bellissima e divertentissima. All’improvviso mi ritrovo con questa diagnosi di ‘carcinoma mammario metastatico’ in mano. Non sapevo neanche cosa significasse la parola ‘carcinoma’, anche perché non c’erano mai stati casi in famiglia”. Cosa hai fatto a quel punto?
“Ho deciso di abbandonare la moda perché avevo bisogno di capire quello che mi aspettava. Ho scelto di curarmi in IEO, perché l’ambiente era molto familiare e mi era piaciuta molto la dottoressa che mi aveva visitata. Da lì è partito il mio percorso. Nel primo anno non ho fatto nulla se non uscire ed entrare in ospedale. Poi, nel 2020, è arrivato il Covid: sono stata positiva anche io e per due mesi non ho potuto fare terapia. Era l’inizio, ancora non si sapeva nulla dell’infezione e per me è stato un periodo molto pesante. Avevo l’ansia di morire perché non stavo facendo nulla per bloccare il tumore. Siccome non mi piace cucinare, non ho fatto la pizza come quasi tutti e per non impazzire ho cominciato a dipingere. Ho realizzato così una prima Madonnina, che poi è diventata il mio logo. Avevo pensato che avrei potuto vendere i miei quadri, ma perché qualcuno avrebbe dovuto comprarli? Non sono certo l’artista del secolo. In quel momento ho capito che avrei dovuto dare qualcosa di mio: raccontarmi”.
Come?
“Facendo vedere che continuo a fare la stessa vita di prima. O quasi. Certo, sto spesso in ospedale, ho degli appuntamenti fissi... Ma ho comunque la mia autonomia, continuo ad avere i miei amici e il mio modo di vivere è rimasto invariato. Non dico che questo sia il modo giusto di affrontare la malattia, ma è il mio. Per questo faccio vedere che mi trucco, che mi metto i tacchi, eccetera. È il mio modo di sdrammatizzare un tema raccontato spesso con angoscia: non nego la sofferenza, certo, ma non mi aiuta mostrarla o vederla. Mi aiuta invece vedere chi sta meglio di me, perché mi dà forza. Allo stesso tempo voglio far capire che ci si può ammalare anche da giovani. Che non siamo intoccabili: può succedere a chiunque. E voglio fare qualcosa per aiutare i pazienti, e quindi me stessa. Una volta che sei dentro a questo mondo ti rendi conto di tante problematiche che chi non ci passa non può conoscere. È da qui che è nato il mio progetto Ni.Art.Gallery. Insomma, ho cambiato vita”.
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Il logo di Ni.Art.Gallery |
Cos’è, esattamente, Ni.Art.Gallery?
“È il mio marchio registrato, la mia azienda con cui porto avanti progetti diversi, che si sono ampliati. Continuo a dipingere e a vendere quadri su commissione, con lo scopo di supportare la Fondazione IEO-Monzino, faccio collaborazioni con dei brand e la scorsa settimana è partito un progetto itinerante di raccolta fondi che toccherà alcune città, per regalare visite senologiche con i medici dello IEO. Ho voluto farlo perché la mia prima diagnosi è stata sbagliata: avevano scambiato un tumore per una cisti liquida. Ecco perché penso sia importante dare la possibilità di un secondo parere con personale altamente qualificato, senza spostarsi dalla propria regione. Nelle Marche abbiamo raccolto 65 mila euro, la prossima tappa sarà in Puglia”.
E il progetto TTTT (Tette. Tacchi. Trucco. Tumore. Manuale di istruzioni anti panico") con lo IEO?
“L’idea è nata dalle tante domande che ricevo da chi mi segue. Riguardano la vita quotidiana. Credo che i pazienti si vergognino di disturbare l’oncologo. Per esempio: mi posso fare le punture di filler alle labbra? Posso fare la tinta? Posso avere rapporti sessuali? Se faccio la radioterapia poi sono radioattiva? Questo, per esempio, lo pensava una mia amica incinta che non mi ha voluto vedere per settimane. Le risposte per un medico sono ovvie, ma per una persona ignorante in materia no. Io non sono in grado di rispondere, ma ho pensato che avrei potuto fare queste domande ai medici al posto loro. Perché la vita, come dicevo, deve continuare nel modo più normale possibile”.
Eppure nel primo video di TTTT - appena pubblicato su Salute - sembri saperne molto anche tu di medicina…
“Non ho una preparazione medica e non mi interessa averla. Del mio tumore mi basta conoscere quello che ha una ricaduta diretta sulla mia vita. Tanta gente mi chiede che tipo di malattia ho. Ma io non lo so e non voglio sapere: una volta che avessi anche imparato la sigla del mio cancro e tutte quelle percentuali, che differenza farebbe senza le basi per poterlo inserire in un contesto? Avrei risolto qualcosa? Serve alla mia oncologa, mentre io ho ben chiaro quello che serve a me. Sono una persona spontanea e parlo con i medici esattamente come sto parlando ora. Non ho mai studiato nulla a tavolino di quello che sto facendo, ma credo che potrà portare a qualcosa di buono”.
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Caro Fedez,
lo so bene, ci vuol coraggio a mostrare le proprie ferite in questo mondo, in cui si cerca di apparire sempre perfetti, invincibili e incorruttibili. Hai reso visibile a centinaia di migliaia di persone come si vive prima e dopo una diagnosi di tumore, fotografando le tue ferite sia fisiche che mentali, ci hai straordinariamente aperto il tuo cuore. Moltissimi hanno accolto il tuo messaggio con solidarietà e affetto, ma l'esposizione mediatica può essere un’arma a doppio taglio. Ho letto di persone che ti hanno attaccato proprio nella tua fragilità, hanno scritto che hai sete di notorietà, hanno paragonato il tuo tumore a quello di Steve Jobs senza essere informati.
Intanto hai sensibilizzato, fatto informazione, parlato di ricerca e forse hai fatto sentire meno sole le persone che si trovano ad affrontare la tua malattia. Per questo mi sento di dirti con affetto fraterno e sincero grazie, perché hai deciso di dar voce al tuo dolore, che in realtà non è solo tuo ma appartiene a tutte quelle persone che ogni giorno convivono con un tumore. Ma è anche il dolore di una moglie o di un marito, di un figlio, di un genitore, di un fratello o di un caro amico.
Il cancro ti cambia, cambia le tue priorità, il tuo modo di vedere le cose e di giudicare. Tutto improvvisamente muta nella forma e nel colore, si vive di emozioni, ci si commuove facilmente, si cerca la felicità nelle piccole cose. E infine grazie soprattutto perché hai messo in luce il fatto che l'amore è la medicina dello spirito, l’unica cosa che ci dà forza e speranza. Le chiacchiere, noi lo sappiamo, stanno a zero. |
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Bottone antipanico
Potete inviare le vostre domande a saluteseno@gedi.it |
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