Quando è nato Pietro avevo 23 anni, frequentavo il master in giornalismo e mi sembrava di poter conquistare il mondo. Ricordo bene quel giorno, il reparto dell’ospedale con le pareti azzurre, la faccia stravolta ma felice di mia cugina, mentre lo stringeva. Guardandolo non mi sfiorò nemmeno lontanamente l’idea di chiederle di poterlo prendere in braccio: la maternità mi sembrava una questione lontana anni luce. E in effetti avevo ragione, ma in ogni caso mai avrei pensato che quell’esserino – 16 anni dopo – mi avrebbe fatta sentire improvvisamente vecchia.
È successo questa estate al mare, quando la sua mamma provocatoriamente mi ha detto, “vediamo se a te, i meme che Pietro scambia con gli amici, fanno ridere”. Lui me li ha mostrati e il mio viso è rimasto pietrificato. Non perché non mi divertissero, ma perché non li capivo proprio. “E’ un po’ consolante”, ha sorriso mia cugina, “succede anche a te che hai otto anni in meno di me”.
Sbang.
L’estate scorsa ero già iscritta alla newsletter Zio, ma da allora ho cercato di leggerla con più attenzione. Se prima la seguivo per interesse personale, poi ho cominciato a guardarla come uno strumento che mi sarebbe potuto tornare utile con mio figlio, anche se ancora seienne.
Di cosa tratta Zio?
La presentazione recita così: "Cerca di capire di cosa parlano e cosa fanno i teenager di oggi prima che per strada ti diano del lei". Per approfondire meglio, ho telefonato al suo autore, Vincenzo Marino.
Partiamo da un dettaglio importante: quanti anni hai Vincenzo?
Trentasei e la newsletter è nata a fine 2019.
Come ti è venuta l’idea?
Stavo lasciando il mondo del giornalismo per andare a lavorare in un’azienda e un po’ mi dispiaceva smettere di scrivere e seguire il mondo delle tendenze giovanili. Inoltre mi ero accorto che noi trentenni pensiamo di conoscere tutto di internet, ma invece c’erano nuovi mondi, riferimenti e linguaggi che ci stavamo perdendo perché neanche li vedevamo.
Quindi tu scrivi di cose giovani per i non più giovani?
In realtà la mia community è molto vasta: va dai teenager passando per ventenni e coetanei, fino a chi ha già figli adolescenti e persino professori.
Cosa ti scrivono genitori e professori?
Mi scrivono in privato per ringraziarmi, perché leggendomi sono riusciti a trovare un punto di unione, di conversazione, con figli e alunni. Oppure mi scrivono per chiedermi consigli, perché magari sono preoccupati per un videogioco, oppure mi fanno domande su TikTok o su youtuber. Insomma, vogliono capire.
E tu come fai a restare così aggiornato?
Mi appassiona indagare quello che non comprendo, ma la verità è che ho una disciplina ferrea: trascorro ore su TikTok, Youtube e Twitch. E poi leggo anche i magazine che si occupano di digitale, soprattutto in lingua anglofona. Insomma, faccio ricerca.
Che consigli daresti a un genitore che non ha il tempo e la passione di fare come te?
Non essendo ancora padre, non è facile dare un consiglio. Però secondo me può valere lo stesso suggerimento che do alle aziende: per stabilire un contatto con i ragazzi bisogna parlare con loro con la voglia di imparare. E’ l’atteggiamento che fa la differenza. Il loro linguaggio – che è molto diverso dal nostro – non deve essere occasione di ostilità, ma di stimolo. E se vogliamo riuscirci tocca a noi fare lo sforzo chiedendo ai giovani, “cosa c’è di interessante?”, “Perché ti appassiona?”…
E a te capita mai di sentirti vecchio?
Succede sì, anche perché i ragazzi vedono i trentenni già come pezzi da museo. Succedeva anche a noi – è vero - ma la generazione Z è davvero diversa da tutte le altre: d’altronde è la prima nata già con internet, cioè con un potenziale di comunicazione pazzesco che condiziona il loro modo di pensare.
Ma perché i loro meme non ci fanno ridere?
Perché oggi l’ironia è ermetica, gli esperti parlano di terzo o quarto livello di ironia, che non è per niente facile da capire. Ma la verità è che in alcuni meme non c’è niente da capire ed è questo a farli ridere. Per altri invece è necessario conoscere il contesto. Anche il figlio di mio cugino una volta mi ha messo in crisi… c’è voluto un po’ a capire cosa lo divertisse così tanto, ma alla fine ce l’ho fatta.